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LA MALATTIA DI FORESTIER

 LA MALATTIA DI FORESTIER. 

Forestier nel 1937 descrisse in modo magistrale l’osteoartrite secca trapezio-metacarpale coniando il termine “RIZOARTROSI” da risos ’= radice (del pollice).

Oggi per rizoartrosi si intende una grave, progressiva ed invalidante artrosi dell’articolazione alla base del pollice, tra il trapezio ed il primo metacarpale (MC) (foto1).

Se in termine di conoscenza questa grave affezione degenerativa della mano è ultima rispetto ai noduli di Heberden (1803) e di Bouchard (1884) è invece, certamente, la più frequente: essa colpisce la donna attorno ai 50 anni, con frequenza dell’80-90 %.

La rizoartrosi del pollice diviene nel tempo bilaterale, il suo esordio avviene quasi sempre dal lato dominante, dove l’evoluzione è sempre più accentuata.

La sua frequenza ed incidenza clinica sono sicuramente sottostimate, complici una certa rassegnazione ancestrale al dolore nella donna ed un atteggiamento diagnostico-terapeutico incerto, convenzionale e minimizzante da parte del curante.

La rizoartrosi del pollice diviene nel tempo bilaterale, il suo esordio avviene quasi sempre dal lato dominante, dove l’evoluzione è sempre più accentuata. Si associa con notevole frequenza ad altre manifestazioni artrosiche delle dita della mano (noduli di Bouchard ed Heberdeen ), alla s. del tunnel carpale, ad epicondilite, alla spalla dolorosa ed alle patologie legate alle degenerazioni artrosiche della colonna cervicale.

Sul piano etiopatogenetico ad eccezione dei casi post-traumatici, non si riconoscono cause precise. Viene assegnato solitamente un ruolo predisponente oltre che scatenante alla menopausa

L’aspetto radiografico è anch’esso assimilabile alle altre alterazioni degenerative delle superfici articolari. Si osserva dapprima la riduzione e la scomparsa delle interlinee articolari, accompagnata da osteosclerosi subcondrale , ampie zone decalcificate, osteofitosi marginale più o meno spiccata che può giungere fino a formare vere e proprie colate ossee. Di frequente riscontro è la presenza di corpi mobili o corpi rizoidei nell’angolo mediale, mentre all’angolo esterno del trapezio il processo osteofitosico tende a formare una mensola, nel tentativo di contrastare la tendenza alla lussazione della base metacarpale. Nelle forme più gravi, con lussazione del raggio, la base del 1° MC appare verticalizzata.

Il solo esame clinico può già condurre ad una diagnosi, specie nei casi già evoluti, quando l’ispezione e la palpazione mettono in evidenza la deformazione della radice del pollice, che presenta una salienza ossea irregolare, dura, dolente alla pressione, in corrispondenza della base ipertrofica e sublussata del 1°MC. Le alterazioni locali sono rese più evidenti da un certo grado di atrofia dei muscoli tenari.

Utile complemento all’indagine clinica è l’esame radiografico. le alterazioni in esso riscontrabili sono state già prese in considerazione precedentemente. Mediamente una rizoartrosi è dolente da 3-5 anni fino a 9-12 anni dalla sua comparsa. Esistono anche forme asintomatiche con evoluzione verso deformità grossolane. nell’ arco di 10-12 anni i dolori si attenuano, pur rimanendo un pollice rigido, deformato con una sublussazione della TMC, che può causare una perdita pari al 50.80% della sua funzionalità primitiva. La considerazione più evidente è che l’evoluzione della rizoartrosi costringe il paziente a pagare un prezzo molto alto sul piano funzionale, prima di poter giungere alla regressione della sintomatologia dolorosa, che coincide con l’instaurarsi delle deformità. Queste pazienti, donne nella piena attività, si trascinano per molti anni, mentre il destino naturale della rizoartrosi può invece essere modificato.

La diagnosi differenziale è solitamente semplice. Solo la tenosinovite stenosante dell’abduttore lungo del pollice o m. di De Quervain può essere confusa con la rizoartrosi , nel caso della tenosinovite si osserva un evidente tumefazione sulla stiloide radiale, dolente alla pressione, in assenza di segni radiografici di rizoartrosi. Va comunque ricordato che le due malattie possono coesistere e che il m. di De Quervain può fungere da elemento aggravante oltre che scatenante il dolore ed il deficit funzionale.

Il trattamento medico sintomatico più frequentemente utilizzato si avvale dei farmaci antinfiammatori non steroidei. Anche le cure fisiche meritano una riflessione: richiedono lunghi periodi di cure e non sono in grado di modificare di fatto l’evoluzione della malattia. il trattamento ortesico costituisce un elemento innovativo nel campo prognostico e terapeutico della rizoartrosi.

La rizoartrosi è una realtà clinica bene definita, con un profondo risvolto sociale. Colpisce, come abbiamo visto, un’altissima percentuale di donne in età attiva (50 anni), con dolorosi risvolti sul piano della economia domestica e lavorativa. Il ricorso alla terapia medica e fisica solo temporaneamente e solo sotto il profilo sintomatico, mentre il trattamento chirurgico non può proporsi per un così elevato numero di casi ma trova una sua logica per casi singoli e selezionati. Il trattamento di scelta rimane quello dell’ ortesi , che è nello stesso tempo minimo e massimo: l’ ortesi , se ben tollerata, dà fiducia al paziente, lo allevia dall’angoscia del dolore ed evita la conseguente limitazione funzionale e soprattutto previene l’instaurarsi degli squilibri meccanici sulla metacarpofalangea che determinano la comparsa di atteggiamenti articolari viziati, causa stessa dell’evoluzione della malattia che può in molti casi degenerarsi e condurre all’indicazione, se dolore persistente con grave limitazione funzionale, solo chirurgica.

 

image002 Immagine radiografica di Rizoartrosi con segni tipici

image004 uno dei tutori utilizzati nel trattamento incruento.

  

. image006 A image008 B : quadro di radiografico di artroplastica pre (A) e postoperatoria (B). 

 

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